Parlare del Manicomio di Palermo senza parlare della malattia mentale sembrerebbe parlare di un contenitore senza contenuto, quando, invece, il solo richiamo a quest'istituzione, evoca, inesorabilmente, alla memoria il mistero di molti smarrimentiche hanno visto tantisventurati sottopostialle cure rituali dell'elettroshock. Sventurati rinchiusi dietro le sbarre di una cella o legati conla camicia di forza.
Parlare del manicomio senza parlare della malattia mentale è possibile quindi, e questo l'autore lo fa rappresentando i punti salienti che hanno caratterizzato l'evoluzione di questa istituzione durata circa 200 anni.
Uno scenario malinconico tracciato per grandi linee dalle sue origini fino ai nostri giorni: il lebbrosario, dove venivano rinchiusi lebbrosi, tisici e matti (allora definiti indemoniati).
L'autore ci conduce ad osservare, attraverso l'utilizzo della fotografia il mistero di tanti insondabili sofferenze, immortalando immagini da brivido, "Le stanze ferite",che evocano sceneda film del terrore e testimoniano l'esaurirsi di un'antica istituzione.
Le fotografie inserite dell'autore hanno lo scopo di cristallizzare e conservare viva la memoria, che diventa sempre più labile, nel divenire del tempo che la cancella inesorabilmente. E' il tempo che passa, che lavora come un grande artista:cancella, modella, lima, smussa, cambia i colori con la sua azione lenta ed infaticabile.
Quando lo sguardo della nostra mente si sofferma per un attimo per andare a percorrere a ritroso il passato, tutto appare più bello quando s'incontrano soggettività e tempo, la visione, in questo caso,diventa frammento di poesia.
C'è molta riverenza ed affetto verso i matti, infatti le parole dell'autore sono permeate di sofferenza:
"… e si incamminarono,
percosseroinfiniti corridoi coperti da capriate lignee.
Mesta, silenziosae composta fu la processione.
Le lacrime divennero gocce di rugiada,
Si spersero nello spazio…e diventarono luce."
L'autore ci presenta, oltre a riproduzioni dei dipinti dei ricoverati,immagini del passato in bianco e nero, contrapposte con quelle di oggi a colori. Immagini dei ricoverati a pranzo, riuniti infesta, che recitano poesie, che cantano, che ricevono doni dalle autorità.Insomma, il meglio di quei poveri sventurati chel'autoresembra ricordare con accorata nostalgia.
Catalano parla del Manicomio che non c'è più, chiuso a seguito dell'entrata in vigore dellalegge Basaglia. Ci racconta, con una punta diorgoglio,tutto ciò cheè rimasto, ovvero,un Patrimonio artistico, storico e culturale da consegnare alla città.
Prima del "Manicomio", la "pazzia" fu ospitata nella "Real Casa dei Matti", direttadal filantropo barone Pietro Pisani. Il nobile palermitanoinnovò l'ospizio facendolo diventare un esempio di rinnovamento tra i migliori d'Europa dove si accolsero solamentemalati mentali e si eliminò ogni forma di punizione coercitiva, come la bastonatura e l'uso delle catene.
Lo spazio divenuto nel tempo insufficiente ad accogliere i "malati di mente", indusse a trovare una struttura alternativa che potesse ospitare i "pazzi". Nel 1878 Gaetano La Loggia e Bernardo Salemi Pace acquistarono dallo Stato italiano, la "Vignicella", dapprima "soltanto" una succursale della "Real Casa dei Matti" e poi nucleo centrale attorno al quale si decise di realizzare il nuovo Manicomio.
Il progetto fu realizzato dall'architetto Francesco Palazzotto, su incarico del Presidente del Consiglio di Amministrazionedella "Real Casa dei Matti" di quel tempo, comm. Salesio Balsano, adottando il sistema dei padiglioni distaccati,comunicanti tramite gallerie.
Dal momento in cui il Manicomio di Palermo ha chiuso i battentisi è assistito ad unagraduale metamorfosi: la struttura è cambiata radicalmente uscendo fuori dallo stato di abbandono e di degrado in cui si era ridotta. Anche i giardini interni ed esterni della "Vignicella"versavano in uno stato di totale abbandono. Avere recuperato un simile patrimonio, rappresenta un arricchimento per una città che era rimasta ai margini del manicomio, separata da mura che rappresentavano un confine invalicabile. Dentro c'era la "follia", fuori la "normalità". Ed invece tutto oggi è diventato normale. Tutto è diventato fruibile da chi non vuole dimenticare, anzi vuole consegnare dignità alla memoria di chi ha sofferto.
Il manicomio è diventato uno spazio vivo dove ha trovato ospitalità il cuore dell'organizzazione amministrativa dell'Ausl 6, ma ha trovato ospitalità anche parte dell'anima sanitaria di un'Azienda che deve rispondere ai bisogni di salute della gente.
Grazie al rapporto di collaborazione instaurato con Emergency, è stato anche realizzato un ambulatorio diventato punto di riferimento concreto e reale per gli immigrati.
L'autore mette mirabilmente a confronto leimmagini del degrado con le istantanee di adesso. Con le immaginiscattatedopo gli interventi di recupero che hanno reso l'area della "Vignicella" e dell'ex plesso Ospedalierouna vera e propria oasi dentro una città sempre più caotica.
All'interno del complesso dell'ex Ospedale Psichiatrico, oggi individuato dal Piano Regolatore Generale di Palermo quale zona"di interesse storico-artistico", si può ammirare l'intera area della "Vignicella", dove è possibile visitare l'ex Convento di villeggiatura della Compagnia dei Padri Gesuiti, con il suo splendido pannello di maioliche, la chiesa a croce greca, la casa del Custode al "fondo e all'acqua", le meridiane del 1762,ilgiardino, ilvivaio di piante grasse, la pineta, "i qanat", ed infine i vecchi padiglioni, tra di loro distaccati e comunicanti tramite una galleria sotterranea con impianto di ferrovia decauville.
Sono questi i luoghi che un tempo ospitarono i ricoverati e che oggi sono diventati sede di uffici amministrativi e sanitari dell'Azienda USL 6 di Palermo.
La sofferenza dei "matti" viene anche rivissuta attraverso i reperti raccolti nel Museo di "Archeologia industriale", realizzato all'interno della "Vignicella" dal compianto Domenico Muzio, già Capo Servizio dell'ufficio tecnico dell'Azienda .
L'ex Manicomio di Palermo, situato nel ventre di una città sempre più caotica ed ingombrante, era ed è ancora oggi un luogo ameno e salubre, una vera e propria oasi di pace.
Un'oasi caratterizzata anche dalla bellezza dei suoi viali alberati, con gigantesche palme e piante di falso pepe, dai suoi giardini, dai gazebo e dai suoi porticati lignei che collegano all'esterno l'intera struttura. Tutto questo è armoniosamente dentro i volumi dell'architettura realizzata dal Palazzotto con criteri scientifici, capaci di esercitare ancora un irresistibile fascino.
Luoghi che diventano oggi progressivamente la meta privilegiata di numerosi visitatori, sede di convegni, conferenze, spettacoli, mostre.
L'obiettivo di questa Amministrazione è stato ed è chiaro: dare forma e progettualità rinnovate ad uno spazio storico, pronto ad accogliere eventi di carattere culturale ed artistico, mantenendo il suo affascinante valore originario.
Salvatore Iacolino
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